Ex brigatista e la figlia di Aldo Moro faccia a faccia | 40 anni dopo via Fani

Vi riproponiamo il racconto del toccante incontro, a quattro decenni di distanza dalla strage Br

Ex brigatista e la figlia di Aldo Moro faccia a faccia | 40 anni dopo via Fani
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L’ex brigatista e la figlia di Aldo Moro faccia a faccia, 40 anni dopo la strage di via Fani. A quattro decenni dal rapimento dello statista Dc e dall’uccisione della sua scorta per mano delle Br, vi riproponiamo la cronaca del toccante incontro avvenuto due anni fa a Monza, raccontato dalle colonne del Giornale di Monza.

L’incontro tra l’ex brigatista e la figlia di Aldo Moro

«Ciao Agnese». «Ciao Franco». Si danno del tu la «vittima» e il «carnefice», la figlia dello statista democristiano rapito e assassinato dalle Br e l’ex brigatista che il 16 marzo 1978 aveva preso parte all’assalto di via Fani, costato la vita a cinque uomini della scorta di Aldo Moro. Un tragico epilogo poi toccato anche al presidente della Democrazia Cristiana, dopo cinquantacinque giorni di sequestro. Un incontro avvenuto in un Teatro Villoresi di Monza strapieno, e reso possibile grazie alla Caritas monzese e all’associazione San Vincenzo.
Sul palco di piazza Carrobiolo è salito Franco Bonisoli, 60 anni, uno dei massimi «dirigenti» delle Brigate Rosse fino al suo arresto avvenuto nello stesso 1978. Aveva solo 23 anni; Agnese Moro – che domenica era collegata in videoconferenza da Roma, a causa di un problema familiare che le ha impedito di raggiungere Monza – ne aveva un paio in più.
Due quasi coetanei sugli orli opposti di quel baratro chiamato «Anni di piombo», e che ora si guardano negli occhi, parlano, si confrontano, grazie a un gruppo di incontro che vede seduti uno accanto all’altro le famiglie delle vittime ed ex terroristi. Riflessioni e testimonianze «imprevedibili», raccolte nel volume «Il libro dell’incontro» presentato nello stesso pomeriggio di domenica e curato da don Guido Bertagna.
«Un pezzo di me è fermo a quel 16 marzo: c’è la giustizia penale, ma chi si occupa di ciò che noi sentiamo, delle nostre ferite interiori? – ha sottolineato Agnese Moro – La mia vita è come un elastico: non so se continuerà ad allungarsi con gli anni, permettendomi di andare avanti, se mi trascinerà indietro, o si spezzerà. Col tempo il male si allarga. Come fermarlo? Se in noi rimane la voglia di vivere, allora si va alla ricerca di una via d’uscita, cercando di uscire dalle nostre vite congelate, vittime della dittatura del passato».
In Moro, la fede ha avuto un ruolo fondamentale nella ricerca di questa via d’uscita. «Vedere il viso dell’altro, di chi ha procurato tutto questo male, ha avuto la funzione di uno “scongelatore”: i visi raccontano tanto, e i mostri che sono dentro di noi si sciolgono. La prima volta che mi era stato proposto di vedere Franco dissi di no. Poi è arrivata la sorpresa dell’incontro con lui, del senso di vicinanza e della comprensione. Perché non siamo solo simboli, ma persone».

«Mio padre li ha capiti»

«Credo che durante la prigionia abbia potuto cogliere ciò che c’era dentro i brigatisti, era accorato per loro, anche per la loro voglia di giustizia, nonostante i metodo violento – ha dichiarato la Moro – Loro, i brigatisti, sono stati la punta dell’iceberg di una società, di cui ha fatto parte anche una fetta di intellettuali di allora, che ha sostenuto e tollerato la lotta armata, considerata uno strumento “possibile”. Sono certa che mio padre sia contento del percorso che ho intrapreso per sanare le mie ferite, e di come le stesse vite dei brigatisti siano ripartite nel bene».

«Io, ex brigatista, ho negato l’umanità»

Bonisoli prende la parola, e lo sguardo rimane spesso fisso su una penna che il 60enne tiene tra le mani. La sua voce, in alcuni passaggi, sembra quasi rompersi, cosciente di come le sue mani si siano sporcate di sangue. E di piombo. Nel 1983, dal carcere, è arrivata la definitiva chiusura con le Br. E da lì è partito il suo cammino di «redenzione laica», nel quale ha avuto un ruolo fondamentale l’allora cardinale di Milano Carlo Maria Martini, ai cui piedi i terroristi hanno posato le armi. «Ho arrecato danni incommensurabili – ha ammesso – Ho pagato il mio debito con la giustizia, però esiste la coscienza, che ti fa sentire il bisogno di ricomporre. Quando incontrai per la prima volta Agnese, il suo viso comprensivo è stato per me un regalo: ne sono uscito cambiato e mi sono chiesto “ma non prova odio?”».
Benisoli ora ha una vita normale: un lavoro, una moglie e dei figli. E la viva consapevolezza di «aver negato l’umanità. Si aveva una visione del mondo manichea, dove c’erano solo in bianco e il nero, i buoni contro i cattivi. E dei buoni credevamo di farne parte anche noi: Gli avversari politici venivano considerati nemici, simboli di un mondo da combattere, non uomini. E snaturando quegli uomini a cui abbiamo negato la vita abbiamo snaturato noi stessi».

«Grazie ad Agnese ho trovato la serenità»

Se per la Moro, l’inizio del percorso è stato possibile anche grazie alla fede («Gesù diceva “amate i vostri nemici”»), per Bonisoli la redenzione è stato un desiderio «laico». «Non mi ritengo ancora un credente, arrivo da una famiglia comunista di Reggio Emilia – ha ammesso l’ex Br – Ma posso dire ora di avere più amici tra i preti che tra i miei ex compagni: sacerdoti che per me non sono membri dell’istituzione Chiesa, ma uomini con cui è stato possibile dialogare».
Anche in carcere, a Nuoro, a metà anni Ottanta, quando con altri ex terroristi sottoposti a detenzione dura diede il via a uno sciopero della fame. «Non vedevamo una via d’uscita, né la possibilità di reinserirci nella società. E scegliemmo la strada dello sciopero della fame, fino alla morte». Poi avvenne l’incontro con il cappellano del carcere sardo, e l’invio di una lettera al vescovo di Nuoro. «Scrisse della volontà di non celebrare la messa di Natale in carcere, perché “sei nostri fratelli stavano morendo”», ha ricordato Bonisoli. Perché quella lettera ebbe una risonanza mediatica tale da accendere su di loro (e sulle condizioni di vita nelle carceri italiane) i riflettori dei «piani alti» dello Stato. «Il suo gesto mi ha salvato la vita: da lì è iniziata la mia risalita». Poi l’incontro con Martini, «che ho sentito vicino fino alla sua morte – ha aggiunto Bonisoli – Grazie agli incontri con Agnese, poi, ho ritrovato la mia serenità: e se siete venuti così numerosi a sentirci, vuol dire che qualcosa di buono lo stiamo facendo davvero».

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